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La Funzione Compliance Prospettive Future per Aziende Industriali e Manifatturiere

La Funzione Compliance Prospettive Future per Aziende Industriali e Manifatturiere. Di Enrico Pintucci Partner AQM per i Modelli 231.

Per la cultura manageriale italiana la funzione compliance si identifica con gli obblighi degli intermediari creditizi e finanziari derivanti dalle regole di vigilanza della Banca d’Italia e della BCE.

Per il comparto questa funzione rappresenta  infatti una posizione  ben definita,  complementare al risk management, principalmente orientata al rispetto delle disposizioni sul riciclaggio e sulla trasparenza.

Parliamo pertanto di una figura professionale ben delineata che può essere anche certificata nel rispetto di un regolamento emanato dall’Associazione bancaria italiana.

La globalizzazione ha comportato per le PMI italiane, soprattutto per quelle che operano sui mercati esteri,  un aumento della complessità  delle regolamentazioni da tenere presenti, poiché le disposizioni di legge non sono uniformi nei singoli Paesi.

Per inciso, sarebbe auspicabile che, almeno a livello comunitario europeo, le istituzioni cominciassero a promuovere  Regolamenti unici con efficacia diretta sui singoli Stati, come è avvenuto per le nuove disposizioni sulla Privacy che però, al momento, costituiscono un caso unico.

Malgrado questa complessità, per le imprese industriali e manifatturiere italiane l’attenzione alla compliance riflette ancora una visione specialistica, in cui singoli auditor interni rispondono del rispetto dei requisiti di una norma contrattuale, piuttosto che di disposizioni di legge, come nel caso della qualità, della sicurezza, dell’ambiente e della privacy, senza considerare l’importanza di un coordinamento dei controlli ad un secondo livello, utile per garantire l’effettivo rispetto di tutti i vincoli legislativi sulla base di programmi di formazione, comunicazione e verifica dei comportamenti agiti.

Di fatto, ogni organismo aziendale deve quotidianamente considerare i rischi legati non più soltanto a sicurezza e ambiente, ma anche all’integrità aziendale, applicando leggi e regolamentazioni in materia di anti-corruzione, di abuso di posizione dominante, di concorrenza sleale per finire al controllo sul riciclaggio di denaro e sul finanziamento del terrorismo.

La conformità agli obblighi, conosciuta appunto con il termine compliance, è il risultato di una gestione di tutti i requisiti che un’organizzazione deve mettere in atto per non incorrere in rischi economici e penali derivanti dall’inosservanza di disposizioni.

Attraverso una compliance ben strutturata tramite l’applicazione di direttive aziendali,  si rende possibile realizzare efficacemente una cultura rispondente ad una responsabilità sociale sul rispetto dell’etica e della legalità, coniugando,al tempo stesso, queste esigenze con gli obiettivi di performance.

Per “ compliance management” deve pertanto intendersi una metodologia che  pone in connessione le diverse aree aziendali e che viene applicata per valorizzare e migliorare il valore del business, favorendo all’interno dell’azienda una cultura che presti la massima attenzione alle regolamentazioni esterne ed interne, consapevole dei rischi che possono derivare alle finanze ed all’immagine aziendale dal mancato rispetto di obblighi cogenti.

Allo scopo, nel corso del 2016 è stata emanata una nuova linea guida, la UNI ISO 19600 che intende fornire alle imprese lo strumento per adottare specifici programmi di compliance che permettano l’identificazione e la valutazione dei rischi sulla base del settore di attività e del contesto operativo ed una loro gestione integrata con i processi operativi.

Una corretta applicazione di queste linee guida permette quindi di organizzare adeguate attività di informazione istituzionale e di training, l’utilizzo di incentivi e disincentivi per motivare al rispetto del programma, lo sviluppo di sistemi di monitoraggio e di auditing.

Pochissime aziende curano in modo specifico un’analisi preventiva dei costi della compliance, ormai molto elevati,  e  non considerano le opportunità di risparmio che possono risultare da una gestione integrata dei rischi specifici.

Non va trascurata la considerazione che questa cultura già appartiene a molti specialisti di audit aziendali  e ,pertanto, la possibilità di perseguire la strada offerta dalle citate linee guida appare molto più alla portata delle PMI rispetto ai giudizi del management aziendale, il quale considera  esclusivamente i costi della compliance, anziché valutarne le opportunità ed i vantaggi derivanti da un approccio integrato.

C’è da dire che manca   un supporto adeguato per la formazione necessaria ad affrontare questo passaggio, poiché l’offerta di corsi qualificati per l’acquisizione delle competenze necessarie per l’esercizio di una funzione di “Compliance Officer” non può ritenersi ancora soddisfacente.

Non si tratta infatti di limitare le competenze all’ambito della sicurezza, dell’ambiente e dell’energia, ma di estenderle anche all’ambito economico-finanziario, in special modo a quello fiscale, nonché a tutti gli aspetti della responsabilità sociale e del controllo del mercato.

Sembra inoltre opportuno sviluppare  nuove forme di certificazione di specifici auditor della compliance, ancora insufficienti e poco note nel nostro Paese.

Su entrambi gli aspetti AQM ha in cantiere alcuni interessanti progetti.

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