Corrosione di Lamiere Grecate
Corrosione di Lamiere Grecate. Di AQM.
Durante le operazioni di rivestimento delle facciate di un capannone industriale, le lamiere grecate d’acciaio inossidabile AISI 316L mostrarono un evidente fenomeno di corrosione puntiforme, eterogeneamente esteso su buona parte delle superfici.
Il sopralluogo in cantiere verificò la presenza dello stesso tipo di corrosione anche in alcune lamiere non ancora montate e conservate all’aperto come ricevute, senza alcuna protezione.
Le lamiere erano state ordinate d’acciaio AISI 316L, con finitura superficiale BA e grecate tramite laminazione a freddo, mirata a conferire il profilo desiderato.
Dopo il prelievo dai pacchi venivano avvitate a profilati ad U d’acciaio al carbonio zincato a caldo, mediante viti autofilettanti, dichiarate d’acciaio inossidabile, ma che all’aspetto sembravano piuttosto d’acciaio al carbonio zincate.
Ruggine da corrosione puntiforme osservata sulla superficie di una lamiera grecata montata sulla facciata di un capannone industriale. 0,7 x circa.
Corrosione di Lamiere Grecate
A sinistra: viti autofilettanti nuove usate per il fissaggio delle lamiere ai profilati d’acciaio zincato. Aspetto metallico lucido. A destra: viti usate, smontate dalla facciata del capannone, alquanto ossidate con evidenti segni di ruggine.
Corrosione di Lamiere Grecate
Per scoprire le cause della corrosione furono prelevati vari campioni da sottoporre alle seguenti prove in laboratorio:
- analisi chimica delle lamiere, dei profilati e delle viti;
- esami macrografici;
- esami in microscopia elettronica a scansione e microanalisi EDS;
- esami micrografici;
- determinazione dello spessore del rivestimento di zinco;
- determinazione della massa di zinco.
L’analisi chimica dimostrò che i saggi di lamiera grecata analizzati erano d’acciaio inossidabile austenitico AISI 316L, come dichiarato, di corretta composizione chimica e appartenenti alla stessa colata, mentre le viti autofilettanti erano costruite con acciaio al carbonio cementato, temprato e disteso e infine zincato elettroliticamente.
L’esame macroscopico delle lamiere evidenziò che la corrosione, con evidente ruggine, si sviluppa preferenzialmente lungo fasce longitudinali in prossimità delle pieghe della grecatura, dove si concentravano piccoli strappi e solcature, ben evidenziate dalla microscopia elettronica a scansione, che mostrò anche la presenza di particelle metalliche incastonate.
A sinistra: crateri di corrosione con aloni di ruggine e solchi disposti in una fascia longitudinale della lamiera. 1 x circa. A destra: Micrografia SEM della superficie della lamiera all’interfaccia tra le zone integra e danneggiata dalla corrosione. Presenza di particelle metalliche incastonate (vedi frecce).
Corrosione di Lamiere Grecate
A Sinistra: micrografia SEM di una particella metallica incastonata nella superficie della lamiera, con corrosione da fessura al bordo. Posizioni delle microanalisi EDS. A destra: sezione micrografica della particella incastonata reattiva all’attacco nital 2 %.
Corrosione di Lamiere Grecate
La microanalisi EDS confermò che i frammenti metallici incastonati non appartenevano alla lamiera, perché non contenevano sufficienti quantità di Cr e Ni, sebbene riconducibili ad un acciaio da costruzione al Cr-Ni.
Tali frammenti erano spesso ossidati e arrugginiti. In moltissimi casi, al loro bordo s’era innescata una corrosione profonda del tipo da fessura (crevice corrosion).
Anche gli esami micrografici di sezioni rette della lamiera, secanti i frammenti metallici ne confermarono la natura esogena e l’incastonatura.
Gli esami micrografici delle viti dimostrarono che erano state cementate, temprate e distese ed infine zincate elettroliticamente con spessore del riporto molto eterogeneo e variabile da 8 a 15 µm.
Conclusioni
Il danneggiamento lamentato fu attribuito ai rulli di laminazione usati per la grecatura delle lamiere d’acciaio inossidabile, probabilmente costruiti con acciaio da costruzione al CrNi e usurati presso gli angoli della grecatura e/o sporchi di frammenti d’acciaio residui delle precedenti lavorazioni.
Ciò determinò l’incastonamento di particelle d’acciaio non inossidabile sulla superficie della lamiera d’acciaio inossidabile austenitico AISI 316L.
Com’è noto le particelle d’acciaio da costruzione non inossidabile possiedono un potenziale ossidoriduttivo (redox) riferito all’elettrodo all’idrogeno di circa -300÷350 mV, mentre la superficie dell’acciaio inossidabile austenitico correttamente passivato possiede un potenziale redox di circa +800 mV.
L’intimo contatto tra i due metalli genera una cella galvanica di almeno 1100 mV, che in ambiente umido (normali condizioni atmosferiche) genera la corrosione del metallo più elettronegativo, cioè le particelle d’acciaio da costruzione incastonate, generando la ruggine.
Essa diffonde e si deposita sulla superficie circostante dell’acciaio inossidabile e riempie anche la fessura al bordo della particella che si corrode.
Questo priva la superficie dell’acciaio inossidabile della capacità di autopassivarsi spontaneamente per adsorbimento d’ossigeno, perciò l’acciaio s’attiva dov’è ricoperto di ruggine e soprattutto nella micro fessura al bordo della particella d’acciaio incastonata.
L’acciaio inossidabile attivo possiede un potenziale redox di circa -500 mV, sufficiente per invertire la polarità della preesistente cella galvanica e per generare una cella galvanica attivo-passiva di quasi 1300 mV, che accelera il fenomeno di corrosione dell’acciaio inossidabile che protegge l’acciaio comune della particella incastonata.
Così, la corrosione aggredisce l’acciaio inossidabile e prosegue accelerando fino a perforazione della lamiera e formazione di percolamenti rugginosi assai evidenti, come nel caso esaminato.<
Stante quanto sopra è sconsigliabile ogni azione correttiva mirata a rimuovere i frammenti metallici incastonati nelle lamiere d’acciaio inossidabile, per esempio con decapaggio in miscele acide (fosfo fluoro nitriche) e poi ripassivare l’acciaio inossidabile in acido nitrico + acqua ossigenata, perché le lamiere perderebbero la loro lucentezza e non sarebbe comunque garantito di poter arrestare la corrosione laddove abbia già creato microcrateri.
Si è anche sottolineato che le viti usate per il fissaggio delle lamiere non garantiscono una sufficiente durata alla corrosione e non appena il sottile strato di zinco che le riveste se ne sarà andato per la normale corrosione atmosferica, s’innescherà la corrosione della vite d’acciaio al carbonio e poi quella della lamiera d’acciaio inossidabile, non appena depassivato, con elevato rischio di crollo delle lamiere stesse.
Pertanto si è consigliato di smontare tutte le lamiere già montate, restituirle al fornitore e chiedere la loro sostituzione con lamiere integre, da montare con idonee viti autofilettanti d’acciaio inossidabile martensitico (per esempio AISI 420A), opportunamente temprato e disteso.