Proprietà del Ferro e Fabbricazione dell’Acciaio
Parte 3 – Colata e solidificazione dell’acciaio
A cura di Cibaldi Dr. Cesare – Consulente Senior AQM srl
Colata dell’acciaio
Nella moderna metallurgia, il forno elettrico serve per la fusione del rottame e per la prima elaborazione (ossidazione e scorificazione).
Poi l’acciaio liquido è trasferito nel forno siviera (colata in siviera), dove si completa l’elaborazione (calmatura o deossidazione, desolforazione, scorificazione, alligazione, degassaggio normale o sotto vuoto).
Infine, l’acciaio è colato in lingottiera, per ottenere lingotti, blumi o slebi, o in apposite macchine per la colata continua, per ottenere lingotti, billette o bramme), oppure in forme, per ottenere i getti.
Il luogo dove avviene la colata dall’acciaio dalla siviera in lingottiera si chiama fossa.
La temperatura dell’acciaio liquido e la velocità di colata sono i due parametri più importanti ai fini del buon esito della colata.
La temperatura ottimale dell’acciaio liquido pronto per la colata è circa 80 °C oltre il liquidus della specifica lega ferrosa (circa 1610 °C). Temperature maggiori sono sconsigliate, perché favoriscono l’usura dei refrattari, la macrosegregazione, la formazione di profondi coni di ritiro primari e secondari e anche cricche longitudinali nei lingotti (fig. 32).

Figura 32. Grosso lingotto poligonale criccato longitudinalmente.
Temperature più basse sono sconsigliate perché riducono la velocità di decantazione delle eventuali inclusioni esogene, dovute all’inglobamento di polveri di copertura o di frammenti di refrattario per erosione.
La velocità di colata in lingottiera o in colata continua, per ottenere lingotti, e/o nelle forme per ottenere getti, dipende dal tipo di lingotto o getto da produrre, dalla qualità dell’acciaio e dalla quantità d’acciaio da colare, visto che l’operazione non può durare più di 40÷60 minuti per la progressiva perdita di temperatura dell’acciaio durante la colata.
Nei limiti d’accettabilità per le singole circostanze, di solito si colano lentamente i lingotti tondi o poligonali, soprattutto di grosse dimensioni, pena il rischio di cricche longitudinali, e si possono colare più velocemente i lingotti quadri e corti.
Colata in fossa
La colata diretta (figg. 33 e 34) produce un acciaio di qualità scadente e oggi non più accettabile, perché il flusso d’acciaio liquido si riossida a contatto con l’aria e s’arricchisce di inclusioni, quando attraversa la scoria.
Anche la qualità delle superfici del lingotto è mediocre, per la presenza di gocce fredde dovute a spruzzi e l’usura delle lingottiere è notevole.
Per queste ragioni la colata diretta è stata totalmente abbandonata per la fabbricazione degli acciai speciali da costruzione.

Figura 33. Colata diretta dalla sedia della siviera alle lingottiere predisposte nella fossa. Il getto d’acciaio liquido in caduta libera nell’aria si riossidava notevolmente.

Figura 34. Colata continua in un grosso lingotto poligonale. L’acciaio in caduta dalla siviera attraversava la scoria liquida favorendo le inclusioni esogene.
Per produrre contemporaneamente numerosi lingotti di piccole dimensioni o lingotti singoli di grandi dimensioni destinati alla fucinatura, oggi si usa quasi esclusivamente la colata in sorgente, che sfrutta il principio dei vasi comunicanti (fig. 35).

Figura 35. Schema della colata diretta, ormai storica, e della colata in sorgente usata per la fabbricazione di numerosi lingotti di piccole dimensioni o lingotti singoli fino a 120 ton.
La colata in sorgente consente di proteggere il getto d’acciaio liquido tramite tubi ceramici detti snork, che collegano l’uscita della siviera (sedia) con la colonnetta d’alimentazione dell’acciaio liquido alle singole lingottiere posizionate sulla placca. Esse si riempiono contemporaneamente e senza turbolenza.
Il pelo libero dell’acciaio liquido nella lingottiera è protetto da polveri di copertura, che ne evitano il contatto con l’aria e l’ossidazione. Ciò migliora la qualità metallurgica dell’acciaio.
Tuttavia il lungo percorso dell’acciaio liquido a contatto col refrattario tende ad eroderlo e ad arricchire il liquido di inclusioni esogene, che si possono accumulare al piede del lingotto.
Il lento e graduale riempimento delle lingottiere conferisce ai lingotti colati in sorgente un migliore stato superficiale, ma esiste il rischio delle riprese (parziale solidificazione del pelo libero per un accidentale e temporaneo arresto della colata (fig. 36).

Figura 36. Esempio di ripresa che si nota sulla pelle del lingotto dove è avvenuta la temporanea solidificazione di buona parte o tutto il pelo libero dell’acciaio nella lingottiera per accidentale e momentanea interruzione dell’alimentazione.
A parità d’altre condizioni, la forma e la penetrazione della cavità di ritiro (coni di ritiro) dipende dalla conicità della lingottiera (fig. 37).

Figura 37. Esempi di coni di ritiro primari e secondari che si formano nei lingotti in funzione della conicità della lingottiera.
In assenza di materozza e con conicità dritta, si possono formare coni di ritiro primari (cavità affioranti con superfici assai ossidate), talvolta molto penetranti, e coni di ritiro secondari (cavità interne anche molto profonde, ma con superfici non ossidate, perché non sono in comunicazione con la superficie e l’aria), come schematizzati in figura 37 nel lingotto 1.
Con la colata in sorgente, essendo l’acciaio al piede più caldo, si possono formare coni di ritiro o porosità al piede (lingotto 4 di fig. 37).
La fig. 38 illustra le parti essenziali di una grossa lingottiera ottagonale in sezioni verticali ed in pianta.
La fig. 39 mostra l’estrazione (scassettamento) del grosso lingotto ottenuto a fine solidificazione.
La fig. 40 mostra lo schema del fronte di solidificazione di un lingotto da 10 tonnellate. Le curve rappresentano la posizione del fronte solido dopo il tempo in minuti, pari al numero che le contraddistingue.
La fig. 41 illustra le sezioni longitudinali di lingotti di un acciaio effervescente e di un acciaio calmato.
Nell’acciaio effervescente, le numerose cavità, che si generano durante la solidificazione per sviluppo di CO, non permettono la formazione del cono di ritiro. In tal caso è inutile l’uso della materozza.
Nel lingotto d’acciaio calmato, il corpo è compatto e la cavità di ritiro si concentra nella sola della materozza, che deve essere adeguatamente dimensionata per poter garantire la disponibilità di liquido durante la solidificazione del corpo per compensarne il ritiro.

Figura 38. Schema del corpo, testa e piede di una lingottiera ottagonale per la colata di grossi lingotti.

Figura 40. schema del fronte di solidificazione di un lingotto da 10 tonnellate. Le curve rappresentano la posizione del fronte solido dopo il tempo in minuti, pari al numero che le contraddistingue

Figura 39. Estrazione dalla lingottiera (scassettamento) di un lingotto ottagonale da 110 tonnellate destinato alla forgiatura

Figura 41. sezioni longitudinali di lingotti di un acciaio effervescente e di un acciaio calmato.
Colata continua
In fig. 42 è rappresentato lo schema di una colata continua.

Figura 42. Schema di una colata continua.
Il vantaggio della colata continua è soprattutto l’aumento del rendimento, poiché non esistono le materozze e gli sfridi dei lingotti, che talvolta incidono per circa un terzo del peso della colata, ma solo le spuntature delle estremità iniziale e finale delle billette o bramme prodotte.
Il lingotto, billetta o la bramma assumono la forma della sezione della lingottiera dove solidifica il liquido, aperta sul fondo da cui si estrae in continuo il lingotto, la billetta o la bramma.
Le billette e i lingotti tondi o quadri, destinati alla fabbricazione di prodotti lunghi, possono avere Ø o lato da 60 fino a 600 mm, mentre la sezione trasversale rettangolare delle bramme, destinate alla fabbricazione dei prodotti piani, può raggiungere dimensioni fino a 600 x 1200 mm.
Le inclusioni endogene ed esogene, la macrosegregazione e l’eventuale cono di ritiro (sempre secondario perché centrale e mai affiorante) s’accumulano lungo l’asse del prodotto solidificato e spesso non costituiscono un problema: infatti giacciono sull’asse o in un’area circoscritta e centrale del prodotto, normalmente poco sollecitata nell’oggetto finito ricavato dal prodotto primario d’acciaieria formato a caldo. Inoltre i coni di ritiro secondari si possono risaldare perfettamente durante le operazioni di formatura a caldo successive (fucinatura, laminazione o stampaggio).
La colata continua è oggi migliorata a tal punto che, se nel lingotto non sono presenti i tipici difetti di questa tecnica (figg. 43 e 44), non è possibile distinguere un acciaio proveniente dalla colata continua da uno colato in fossa.
Inoltre, la colata continua attenua notevolmente la macrosegregazione sui lingotti e bramme di grosse dimensioni per la ridotta quantità d’acciaio liquido, che solidifica in tempi assai più brevi.

Figura 43. Porosità centrale e macrosegregazione sulla sezione trasversale di una barra fucinata da lingotto da colata continua

Figura 44. Cricche a stella nella sezione trasversale di un lingotto da colata continua
Colata sotto vuoto
La colata sotto vuoto consente di ridurre al minimo la concentrazione dei gas idrogeno (H), azoto (N), ossigeno (O) e ossido di carbonio (CO) nell’acciaio, con numerosi importanti vantaggi, per esempio:
• idrogeno residuo in concentrazione inferiore a 1 ppm, che non genera fiocchi sui fucinati o laminati anche in assenza di marcia antifiocco post formatura a caldo;
• valori inferiori a 90 ppm d’azoto, che danno acciai non soggetti al fenomeno d’invecchiamento, che parta all’aumento delle caratteristiche tensili con abbattimento della tenacità e della riserva plastica nel tempo;
• contenuti inferiori a 30 ppm d’ossigeno, che consentono di mantenere estremamente basso il livello inclusionale dell’acciaio;
• assenza di ossido di carbonio, che peraltro non costituisce un problema negli acciai perfettamente calmati durante l’elaborazione, come appunto quelli destinati alla colata sotto vuoto.
• possibilità d’ottenere acciai esenti da inclusioni.
La fig. 45, illustra lo schema di una fra le varie tecniche della colata sotto vuoto.

Figura 45. schema di una colata diretta sotto vuoto in lingottiera poligonale.
Fabbricazione di lingotti rifusi sotto scoria elettroconduttrice
La rifusione sotto scoria elettroconduttrice (ESR – Electro Slag Remelting) elimina le inclusioni e riduce o quasi annulla la macrosegregazione; inoltre conferisce al lingotto una struttura di solidificazione assai omogenea.
Nelle figg. 46 e 47 sono illustrati lo schema di una colata ESR e la sezione longitudinale di un lingotto ESR.

Figura 46: Schema della fabbricazione di un lingotto d’acciaio con rifusione sotto elettroscoria (ESR)

Figura 47: Sezione longitudinale simmetrica di un grosso lingotto d’acciaio ottenuto con rifusione sotto elettroscoria (ESR). Nonostante la macrostruttura evidenzi grandi di grosse dimensioni e allungati nella direzione di formazione del lingotto, la composizione chimica da superficie a cuore è sostanzialmente omogenea, perché i tempi rapidi di solidificazione evitano od attenuano molto la macrosegregazione.
Solidificazione dell’acciaio
La solidificazione avviene tramite sottoraffreddamento del liquido, nucleazione dei cristalli di solido e loro accrescimento.
Quando si sottrae calore ad un metallo puro (raffreddamento), la temperatura liquido nella lingottiera diminuisce. Quando raggiunge il punto di solidificazione, il metallo puro dovrebbe incominciare a solidificare a temperatura costante (trasformazione in condizioni d’equilibrio), ma nella pratica ordinaria nulla avviene finché la temperatura del liquido non sia scesa ben al di sotto del punto di solidificazione, perché la trasformazione avviane in condizioni di non equilibrio e solo se si raggiunge un certo sottoraffreddamento (isteresi), tanto maggiore quanto è più rapido il raffreddamento.
Solo allora la solidificazione incomincia e progredisce rapidamente, tanto che la temperatura del liquido può addirittura risalire, per il calore latente di solidificazione, e stabilizzarsi ad una temperatura inferiore al punto di solidificazione, oppure scendere continuamente senza alcun arresto (figg. 48 e 49).

Figura 48. Schema di una solidificazione di un metallo puro in condizioni di non equilibrio con velocità di raffreddamento moderata.

Figura 49. Schema di una solidificazione di un metallo puro in condizioni di non equilibrio con velocità di raffreddamento elevata.
Gli atomi del metallo allo stato liquido si muovono caoticamente e non sono disposti secondo uno schema ordinato. Alla temperatura d’inizio solidificazione essi dovrebbero ordinarsi secondo lo schema geometrico caratteristico del reticolo cristallino del metallo solido, ma ciò può avvenire solo per caso ed è statisticamente assai poco probabile.
Spesso accade che essi non trovino immediatamente la loro giusta disposizione, per cui il metallo continua a raffreddarsi senza cristallizzare, cioè non solidifica.
In tal caso gli atomi continuano a disporsi secondo configurazioni diverse, finché non assumono per caso quella giusta (nucleazione endogena).
Non appena il nucleo raggiunge sufficienti dimensioni, gli altri atomi vi si depositeranno rapidamente (accrescimento), formando il cristallo o grano.
Esistono due metodi per ridurre il fenomeno di sottoraffreddamento: il più comune è quello di introdurre nel liquido polveri di sostanza solida, che fungono da inneschi o da germi di cristallizzazione (inoculazione).
Nel caso l’inoculazione avvenga tramite cristalli dello stesso metallo che intendiamo far più agevolmente solidificare si parlerà di nucleazione esogena omogenea, nel caso si usino sostanze solide diverse si parlerà di nucleazione esogena eterogenea.
Il solido inoculato favorisce la solidificazione perché gli atomi del liquido sottoraffreddato possono essere adsorbiti sulla superficie delle particelle solide, trovando un supporto che blocca i movimenti caotici tipici del liquido e renderà possibile il raggiungimento della corretta configurazione reticolare del nucleo di cristallizzazione.
Generalmente nella massa liquida sottoraffreddata si formano numerosissimi nuclei di cristallizzazione, tanto più numerosi quanto maggiore è il sottoraffreddamento. Essi s’accrescono indipendentemente l’uno dall’altro, finché vengono a contatto con l’esaurirsi del liquido.
Si definisce grano ogni cristallo e bordo del grano le sue superfici che ne delimitano la dimensione.
Alla fine della solidificazione l’orientamento dei grani è generalmente casuale (cristallizzazione equiassica) e ciò conferisce una discreta isotropia macroscopica al prodotto metallico solidificato. In fig. 50 è schematizzata la situazione di formazione dei vari cristalli o grani durante una solidificazione equiassica.

Figura 50. Schema di una solidificazione equiassica. Dal nucleo di cristallizzazione si accrescono i cristalli, orinatati nel liquido in modo casuale e poi saldati l’uno all’altro quando il liquido completa la solidificazione.
Tale proprietà si perde quando i grani s’orientano preferenzialmente secondo una direzione o durante la solidificazione (cristallizzazione colonnare), oppure durante la deformazione plastica (per esempio durante la laminazione o la fucinatura).
L’accrescimento dei cristalli avviene sempre con l’apporto di nuovi atomi che si dispongono sulle facce del cristallo già solidificato, come per accostamento di nuove celle elementari al reticolo cristallino già esistente.
Durante la solidificazione, tende a solidificare una lega con maggior contenuto dell’elemento base e conseguente arricchimento degli elementi di lega nel liquido. Ciò abbassa la temperatura di inizio solidificazione nei dintorni del nucleo di cristallizzazione, che non può accrescersi se non si raffredda ulteriormente il liquido.
Inoltre, per varie ragioni alcune facce del cristallo possono diventare poco ricettive (avvelenamento), tanto che l’accrescimento si manifesta in una direzione preferenziale, che penetra oltre lo strato limite di composizione più ricca di elementi di lega e più basso fondente e progredisce verso liquido di giusta composizione favorendo la solidificazione direzionale. Così si sviluppano cristalli di forma arborescente detti dendriti, parola derivata da albero in greco: déndro (fig. 51).

Figura 51. Schema di cristallizzazione di una dendrite di un metallo con cristalli a simmetrica cubica.
Se il metallo è puro, alla fine della solidificazione non resterà alcuna traccia delle dendriti, poiché ogni punto della massa solida ha la stessa composizione chimica e quindi tutta la massa è chimicamente omogenea.
Soltanto in casi particolari, quando manca una corretta alimentazione del liquido, negli spazi interdendritici possono restare microcavità. Allora è possibile vedere il contorno delle dendriti anche nei metalli puri (fig. 52).
È possibile dimostrare che i metalli puri solidificano con cristallizzazione dendritica, centrifugando il liquido prima della solidificazione completa, come nel caso del magnesio puro, che solidifica con simmetria esagonale. Per questo i rami delle dendriti formano angoli di 60° con il tronco (fig. 53).

Figura 52. Microcavità da ritiro intorno alle dendriti di un metallo puro salificato senza adeguata alimentazione.

Figura 53. Dendriti di magnesio puro visibili dopo centrifugazione del liquido a parziale solidificazione del lingotto.
In una sezione macrografica di una lega grezza di solidificazione, opportunamente attaccata, è possibile vedere le dendriti (fig. 54), perché la parte del cristallo che solidifica per prima (tronco e primi rami) ha una composizione diversa da quella che solidifica successivamente.

Figura 54. Schema delle dendriti osservabili in una sezione macrografica di una lega grezza di solidificazione.
La microsegregazione
Quando una lega solidifica, il primo cristallo ha sempre una composizione chimica diversa da quella nominale.
Solidificando in condizioni d’equilibrio, ad ogni temperatura, il solido avrà una diversa composizione chimica, ma sarà omogeneo in tutta la massa, perché avrà tutto il tempo necessario per raggiungere l’omogeneità attraverso il fenomeno dell’autodiffusione (migrazione degli atomi allo stato solido.
Quando la solidificazione avviene in condizioni di non equilibrio i singoli elementi di lega non hanno sufficiente tempo per diffondere nel solido formatosi. Pertanto ogni singolo cristallo avrà diversa composizione chimica in ogni microstrato di successivo accrescimento; in particolare al centro sarà ricco dell’elemento più alto fondente o del metallo di base ed alla periferia di quello a più basso punto di fusione e degli altri elementi di lega, come desumibile dai diagrammi di stato.
Ciò vale anche per la cristallizzazione dendritica, per cui la parte centrale dei cristalli dendritici (tronco e primi rami) saranno più ricchi del metallo più alto fondente o del metallo base, mentre i vari strat che si depositeranno in seguito saranno sempre più ricchi di elementi di lega (fig. 55).

Figura 55. La microsegregazione durante la solidificazione genera strati di composizione diversa dal cuore alla superficie del cristallo, resi evidenti dall’attacco macrografico
Le figg. 56 e 57 mostrano una grossa dendrite d’acciaio alta 200 mm, trovata in un cono di ritiro secondario di un grande lingotto ed oggi conservata presso il Museo della Scienza e della Tecnica di Parigi e struttura dendritica evidenziata in una piccola sezione previo attacco macrografico.

Figura 56. Grossa dendrite d’acciaio conservata al Museo della Scienza e della Tecnica di Parigi.

Figura 57. Macrostruttura dendritica evidenziata dall’attacco macrografico di una piccola sezione della dendrite a lato.
Solidificazione in lingottiera
Come il liquido tocca la superficie della lingottiera, si raffredda rapidamente, raggiunge un forte sottoraffreddamento e nuclea moltissimi grani, la cui crescita s’arresta rapidamente per mutuo contatto. Si forma così la pelle del lingotto caratterizzata da minutissima cristallizzazione senza orientamento preferenziale (zona A delle figg. 58 e 59).
Man mano solidifica, il metallo cede il calore latente di solidificazione e si contrae per l’aumento della densità rispetto al liquido. Pertanto la pelle del lingotto già formata si separa dalla lingottiera. Tutto ciò fa diminuire rapidamente la velocità d’asportazione del calore, che non avviene più per conduzione nel metallo della lingottiera a contatto con la pelle del lingotto, ma per irraggiamento dalla pelle del lingotto molto calda alla superficie interna della lingottiera assai più fredda.
Tutto ciò blocca la nucleazione di nuovi cristalli e favorisce l’accrescimento dendritico dei cristalli all’interfaccia liquido-solido, in direzione opposta a quella di fuga del calore, cioè ortogonale alle pareti della lingottiera.
Ciò genera l’orientamento dei cristalli e dà origine alla cristallizzazione colonnare (zona B delle figg. 58 e 59).
Le dendriti talvolta molto lunghe, sempre sottili e fragili, si rompono facilmente per i moti convettivi del liquido in cui sono immerse, più caldo al centro e più freddo verso le pareti della lingottiera, e generano frammenti, che favoriscono la cristallizzazione equiassica nella parte centrale della sezione che solidificherà per ultima (zona C della fig. 59).

Figura 58. Schema della pelle del lingotto con cristallizzazione equiassica finissima, dovuta al forte sottoraffreddamento (zona A) e formazione delle dendriti orientate ortogonalmente alla superficie (cristallizzazione colonnare, zona B).

Figura 60. Frattura trasversale di un lingotto quadro dove sono ben visibili tre diversi tipi di cristallizzazione: in periferia il sottile strato o pelle del lingotto con grani finissimi; in posizione intermedia la cristallizzazione dendritica colonnare o basaltica; al centro la cristallizzazione dendritica equiassica.

Figura 59. Schema di sezioni trasversali di 2 lingotti quadri. Si osserva la pelle o con cristallizzazione equiassica finissima (zona A), la cristallizzazione dendritica colonnare (zona b) e la cristallizzazione dendritica equiassica (zona C)

Figura 61. Sezione trasversale del lingotto di figura 60. Macrostruttura che evidenzia la cristallizzazione dendritica colonnare e dendritica equiassica a cuore .
La fig. 62 mostra esempi di diversa cristallizzazione di lingotti a sezione quadrata.
- cristallizzazione totalmente equiassica;
- cristallizzazione parzialmente colonnare
- cristallizzazione totalmente colonnare.

Fig. 62: Esempi di diversa cristallizzazione di lingotti a sezione quadrata
La fig. 63 mostra un esempio di frattura di lingotto ottagonale di grandi dimensioni eseguita a scopo di studio. Si distinguono la pelle sottile con cristallizzazione finissima, la zona periferica di spessore uniforme con cristallizzazione colonnare e la zona centrale con cristallizzazione equiassica

Figura 63: frattura di lingotto ottagonale di grandi dimensioni eseguita a scopo di studio.
Microsegregazione e struttura a bande
Gli spazi interdendritici, più ricchi di elementi di lega, reagiscono diversamente all’attacco macrografico, evidenziando chiaramente le singole dendriti (fig. 64).
Durante la deformazione plastica i cristalli si deformano e contemporaneamente ruotano, orientandosi nella direzione di deformazione. Perciò durante la laminazione, l’estrusione, la forgiatura, o lo stampaggio, tutte le dendriti s’orienteranno nella direzione di massima deformazione, dando luogo alla struttura a bande longitudinali, detta anche impropriamente fibratura, caratteristica dei prodotti lunghi figura 63), o sinuosa, caratteristica dei pezzi stampati (fig. 65).
La fibratura, a livello micrografico, appare come struttura a bande, tanto più accentuata, quanto maggiori erano le dimensioni delle dentriti e maggiore il gradiente di concentrazione degli elementi di lega dal centro alla periferia dei singoli cristalli (fig. 66).

Figura 64. Struttura dendritica equiassica dell’acciaio grezzo di colata.

Figura 65. Struttura a bende osservabile macroscopicamente sulla sezione longitudinale dell’acciaio laminato proveniente dal lingotto di figura 63

Figura 66. Microstruttura a bande della sezione longitudinale dell’acciaio laminato proveniente dal lingotto di figura 63. Bande di ferrite (chiara) alternate a bande di perlite (scura). Attacco nital 2 %. 100 x.
Esempi di macrostrutture a bande

Figura 67. Sezione macrografica di bullone stampato a caldo

Figura 68. Albero porta elica corroso preferenzialmente secondo la fibratura.

Figura 69. Sezione macrografica assiale di fondello per granata stampato a caldo.
Macrosegregazione
Il principio termodinamico della macrosegregazione che genera importanti macro inclusioni non metalliche endogene è già stato descritto nelle pagine 24 e 25, cui si rimanda.
La figura 70 si riporta un esempio di significativa macrosegregazione degli elementi C, S e P nella sezione di un lingotto d’acciaio S225J0, chiave 600 mm.

Figura 70. Macrosegregazione degli elementi C, S e P in un lingotto d’acciaio S225J0, chiave 600 mm. La composizione del liquido prima della colata era: C 0,09 %, Mn 0,49 %, S 0,040 % e P 0,020 %.
Difetti dei lingotti
I principali difetti che possono presentare i lingotti sono:
- le soffiature, che si possono trovare eccezionalmente anche nei lingotti d’acciai calmati nella parte centrale, in prosecuzione del cono di ritiro. Sono generalmente diffuse nella massa o localizzate alla periferia e dipendono dallo sviluppo dei gas durante la solidificazione;
- i difetti superficiali, dovuti a cattiva preparazione delle lingottiere, a gocce fredde o spruzzi (tipici della colata diretta, che sono ossidati e poi ricoperti dal liquido;
- le riprese di colata, propri della colata in sorgente (fig. 37), che si manifestano quando s’arresta temporaneamente la salita dell’acciaio in lingottiera. La parte superiore solidifica ed è poi sommersa dal liquido che rimonta, senza possibilità di saldatura;
- le inclusioni di scorie e refrattari inglobate nella superficie del lingotto;
- le cricche o fessure, che possono trovarsi in vari punti del lingotto.
Le cricche longitudinali (fig. 71) sono generalmente dovute ad eccessiva velocità di colata, eccessiva temperatura di colata, o a eccessiva velocità di raffreddamento del lingotto, scassettato dalla lingottiera troppo presto. Quelle trasversali (fig. 72) si verificano generalmente sotto l’attacco della materozza, quando, per errore di posizionamento si generano bave del lingotto tra materozza e lingottiera. Esse costituiscono un vincolo al ritiro tale che il lingotto può rimanere appeso alla materozza fino a lacerarsi, data la scarsa resistenza ad alta temperatura.

Figura 71. Esempio di lingotti tondi rotti longitudinalmente per eccessiva velocità di raffreddamento.

Figura 72. Esempio di lingotto criccato trasversalmente per le bave formate tra la materozza e il corpo, dovute ad insufficiente adesione tra lingottiera e contenitore della materozza.